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Cronache di NUOVA MEMORIA ( VI )

Martina, studentessa al primo anno di università, dicembre 2020


Ciao, raccontaci un po’ di te, chi sei, cosa fai nella vita?


Sono Martina, ho 19 anni e frequento il primo anno di università (medicina), Al momento non ho molti hobby, anche perché tra pandemia e studio non ho molta scelta. Prima andavo piscina due volte a settimana, vedevo i miei amici, frequentavo l’oratorio, insomma avevo altri interessi. Anche adesso sento i miei amici ma ovviamente ci vediamo pochissimo]


Primo anno di università? Quindi hai fatto l’esame di maturità in piena pandemia! Come è stato?


Strano, nel senso che ce lo si aspettava diverso (ma credo tutti). Alla maturità ci pensi fin dal primo anno di liceo, come una cosa che ti toccherà fare ma che arriverà tra molto tempo, fino a che poi in quinta “arriva veramente”, con tutti i professori che dicono “mi raccomando iniziate a studiare subito che sennò non ce la fate”. Ma ci sono gli aspetti positivi legati alla maturità: compagni, fase di ripasso di gruppo, il film “notte prima degli esami” la sera prima, il viaggio di maturità, la fine delle superiori e la festa del liceo con i gruppi e le band. invece noi niente. Il problema non è lo studio o la didattica a distanza, ma il non viverlo con gli amici e compagni, la mancanza del contatto umano e di tutte le esperienze collaterali. L’aver svolto l’esame in presenza almeno ha un po’ riportato quelle emozioni (ansia mista a eccitazione per la prossimità della fine del liceo) che mi aspettavo: il dover indossare la mascherina non ha influenzato negativamente l’esperienza, essere dal vivo è sicuramente un’altra cosa.


Avevi mai sentito parlare di pandemia prima di dover affrontare questa?


No, avevo sentito parlare di epidemia qua e là, l’ultima volta durante dei corsi facoltativi organizzato da professori universitari per orientamento post-liceo. La prima volta che ho sentito la parola pandemia è stata a gennaio, quando hanno iniziato a parlarne i giornali


Avresti mai pensato di doverne affrontare una?


Sinceramente no, o almeno non così, per una malattia infettiva contagiosa. Sembrava una definizione data a fenomeni che non mi toccavano, lontano da me o per malattie diverse (come l’AIDS). Mi venivano in mente la peste del ‘300 e la spagnola, ma nulla di vicino o che potesse toccarmi direttamente.


Quando è stato scoperto il primo caso e poi si è iniziato a parlare di quarantena, ti ricordi cosa hai provato e cosa hai pensato?


Era il giorno del paziente zero (lo sportivo di Codogno), ero a scuola e mi ricordo che ero rimasta pure il pomeriggio. Ho in mente questa scena di noi (io e i miei compagni) che torniamo in cortile e sentiamo la gente preoccupata che non parla d’altro. Una mia amica ipocondriaca ha iniziato a andare in ansia, mentre io l’ho sottovalutata un po’, forse anche un po’per colpa della mia prof di scienze: aveva detto che in Cina vivono oltre un miliardo di persone tutte vicine, mangiano animali strani, insomma l’aveva presa sottogamba anche lei, e io di riflesso. La prima settimana che siamo rimasti a casa eravamo felici, dato che dovevamo avere molte verifiche. Il problema è che poi non ci siamo più tornati, e nessuno poteva realizzare che quello fosse effettivamente l’ultimo giorno di liceo della nostra vita.


C’è qualcosa di diverso in questo secondo lockdown?

Questo me l’aspettavo, ne ero praticamente sicura. Stavo seguendo l’andamento dell’epidemia in estate, soprattutto perché dovevo sostenere l’esame di ammissione a Medicina, quindi i professori ci ricordavano continuamente i rischi collegati al saltare il test, entrare in quarantena, etc… Tutti quelli che dovevano sostenere l’esame speravano: almeno facciamo il test, poi possiamo anche andare in lockdown (più che altro da casa non avrebbero mai fatto il test online). Ma lì la situazione (in estate) era sotto controllo, vedevo con tutte le accortezze del caso anche i miei amici la sera, poi sono iniziate a saltare fuori casi di positività in università, il papà di un altro compagno, a metà ottobre all’incirca 40 persone sono finite due settimane in quarantena. Appena queste persone sono rientrate (una settimana dopo al massimo) hanno richiuso tutto. Poi anche sentendo l’andamento a Pero e le scuole medie mezze chiuse ho capito che così non poteva continuare, non senza chiudere la gente in casa


Dato che è la categoria un po’ più attaccata dall’opinione pubblica, come ti sembra che i giovani abbiano vissuto e stiano vivendo queste limitazioni?


Dipende da che ambienti frequenti e da che persona sei. Puoi essere giovane o adulto, ma se hai una certa sensibilità le “accuse” non ti colpiscono visto che non è colpa tua, ma sai anche che devi rispettare le limitazioni. Ne abbiamo parlato a medicina, le altre persone che sono con me in classe hanno quasi tutti sicuramente rispettato le limitazioni e i divieti. Diverso è il discorso per gente più esposta sui social (come youtuber, tiktoker), che nonostante migliaia di follower e la possibilità di influenzare altri ragazzi come loro o più piccoli, hanno tenuto comportamenti non esattamenti corretti con il contesto sanitario in cui viviamo, incuranti delle loro responsabilità. Se c’è in corso una pandemia non vado a fare un aperitivo in 20 persone in un locale, ma non l’ho fatto neanche questa estate. Dipende da che giovani consideri, se prendi quelli “maturi” è un conto, per gli altri un altro, anche se molto spesso dietro quei giovani ci sono genitori che non danno ottimi esempi.


Ci puoi lasciare un messaggio di speranza per il futuro?

In questo momento mi viene difficile, dato che il periodo non è esattamente il massimo, ma nel passato sono state superate malattie ben peggiori nonostante l’assenza della scienza (certo, con conseguenze gravissime), ne abbiamo passate tante, anche il vaiolo, e ce la faremo anche questa volta. La speranza più forte e prossima al momento è sicuramente rappresentata dal vaccino: raggiungere la copertura vaccinale garantendo così l’immunità di gregge. Quindi vien da sé che dobbiamo vaccinarci sia per poter uscire da questo periodo sia per poter letteralmente uscire di casa senza correre il rischio di infettarsi o infettare qualcuno.


 


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